IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  1172  del  2012,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: 
        «La Martingala S.r.l.», in persona del rappresentante  legale
pro tempore, rappresentata e difesa  dagli  avv.ti  Luigi  Medugno  e
Annalisa Lauteri ed elettivamente domiciliata presso  lo  studio  dei
suindicati difensori in Roma, via Panama n. 58; 
    Contro: 
    Ministero  dell'economia  e  delle  finanze   -   Amministrazione
autonoma dei monopoli di Stato, in persona del rappresentante  legale
pro tempore, rappresentata e difesa  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, presso la cui sede  domicilia  per  legge  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Ministero dell e politiche agricole e forestali  e  A.S.S.I.,  in
persona  dei  rispettivi  rappresentanti  legali  pro  tempore,   non
costituiti in giudizio; 
    Per l'annullamento, anche in virtu' di motivi aggiunti: 
    della nota dell'A.A.M.S. prot. 2011/5160/Giochi/SCO relative alla
concessione  ippica  n.  1039,  con  la  quale  l'Amministrazione  ha
richiesto di provvedere all'integrazione dei minimi garantiti sospesi
per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009; 
    della successiva nota di A.A.M.S. prot. 2012/27171/Giochi/SCO del
15 giugno 2012 con la  quale  l'Amministrazione  ha  ricalcolato  gli
importi dovuti per la suddetta concessione; 
    Nonche' per la condanna al risarcimento del danno, anche ai sensi
dell'art. 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, subito  e  subendo
da dimostrare in corso di causa; 
    Visto il ricorso originale e quello recante motivi aggiunti con i
relativi allegati; 
    Vista la costituzione in giudizio  dell'A.A.M.S.  e  i  documenti
depositati; 
    Viste le ordinanze 22 marzo 2012, n. 1032 e 4  ottobre  2012,  n.
3573; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  5  dicembre  2012  il
dott.  Stefano  Toschei  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Visto l'art. 36, comma 2, c.p.a.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; 
 
                           Atto e diritto 
 
    1.  -  La  societa'  ricorrente,  titolare  di  concessione  c.d.
«storica» (vale a dire una delle concessioni rilasciate ai sensi  del
decreto del Presidente della Repubblica  n.  169  del  1998)  per  la
raccolta di scommesse  ippiche  (meglio  indicate  in  epigrafe),  ha
impugnato i provvedimenti,  adottati  da  A.A.M.S.  e  riferiti  alla
concessione della quale e' titolare, aventi ad oggetto la ingiunzione
di pagamento di integrazione dei c.d.  minimi  garantiti  nonche'  il
successivo provvedimento con il quale  le  somme  dovute  sono  state
ricalcolate. 
    La vicenda e' nota e puo' sintetizzarsi nei seguenti termini: 
    A) a partire dall'anno 2005 «il mercato delle  scommesse  ippiche
ha subito un costante e drastico calo dei volumi di raccolta su  base
nazionale, a causa del  rilevante  incremento  delle  possibilita'  e
modalita' di gioco introdotte da A.A.M.S. sia nel  campo  dell'ippica
sia in quello degli altri sport  e  dei  giochi  in  genere»  (cosi',
testualmente, a pag. 5  del  ricorso  introduttivo).  Come  e'  noto,
nell'anno  2006  il  mercato  del  gioco   e'   stato   rivoluzionato
dall'apertura del canale della raccolta del gioco a distanza, sia per
le scommesse su base ippica che per quelle sportive, perche' in forza
del decreto-legge n. 223/2006, convertito dalla  legge  n.  248/2006,
sono  stati  indetti  bandi  di  gara  (c.d.  «gare   Bersani»)   per
l'assegnazione  di  nuove  concessioni,   con   conseguente   aumento
esponenziale dei concessionari della raccolta del gioco; 
    B) la nuova disciplina ha significativamente inciso sul  mercato,
determinando  una  notevole   diminuzione   delle   entrate   per   i
concessionari storici, pur permanendo invariate le condizioni di  cui
alla convenzione di concessione dagli stessi sottoscritta; 
    C)  tale  situazione  ha  indotto  il  legislatore  a   prevedere
l'adozione delle c.d. misure di  salvaguardia  di  cui  all'art.  38,
comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223 del 2006; 
    D)  la  mancata  adozione  di  tali  misure  di  salvaguardia  ha
inizialmente indotto l'Amministrazione dei monopoli  (d'ora  in  poi,
per  brevita'  A.A.M.S.)  a  sospendere  il  versamento  delle  somme
relative all'integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal  2006
al 2009, perche' il  giudice  amministrativo  (cfr.,  tra  le  tante,
T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 28 luglio 2009, n. 7641 e 9 luglio  2009,
n. 6521) ha ribadito, in piu' di un'occasione che i provvedimenti  di
riscossione delle somme dovute  a  titolo  di  minimi  garantiti  non
possono essere adottati  prima  della  definizione  delle  misure  di
salvaguardia; 
    E) sebbene il quadro normativo sia rimasto  invariato,  A.A.M.S.,
con  le  determinazioni  dirigenziali  impugnate   con   il   ricorso
principale, ha nuovamente ingiunto il versamento dei minimi garantiti
dovuti per gli anni dal 2006 al 2010, motivando tale richiesta con la
considerazione che «non e' possibile individuare, allo stato,  misure
di salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate  secondo
i criteri delle procedure selettive indette nel corso del 2006». 
    Di tali provvedimenti l'odierna  societa'  ricorrente  ha  quindi
chiesto l'annullamento, deducendo: 
    la violazione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge  4  luglio
2006, n. 233, convertito, con modificazioni,  nella  legge  4  agosto
2006, n. 248; la violazione dei principi di  correttezza  e  di  buon
andamento dell'azione amministrativa; 
    in particolare, la violazione degli articoli 1 e 2 della legge  7
agosto 1990, n. 241, per non avere mai  l'amministrazione  portato  a
termine, pur avendolo avviato, il procedimento per  l'adozione  delle
c.d. misure di salvaguardia; 
    la   violazione   delle   stesse   prescrizioni    del    decreto
interdirigenziale del 10 ottobre 2003 (che fissa le modalita' per  il
calcolo dei minimi garantiti), per non  avere  mai  l'amministrazione
provveduto  a   pubblicare   (secondo   quanto   previsto   in   tale
provvedimento) le tabelle annuali delle variazioni  dei  prelievi  su
base regionale relativamente alla annualita' in contestazione. 
    Questa sezione, con  l'ordinanza  22  marzo  2012,  n.  1032,  ha
accolto la domanda cautelare proposta, evidenziando in motivazione il
permanente inadempimento dell'amministrazione in  ordine  all'obbligo
di adottare le c.d. misure di salvaguardia. 
    2. - Orbene, nelle more della definizione del giudizio, e' quindi
accaduto che: 
    A) la legge 26 aprile 2012, n. 44, ha convertito il decreto-legge
2 marzo  2012,  n.  16,  il  quale  all'art.  10,  comma  5,  dispone
testualmente che, «al  fine  di  perseguire  maggiore  efficienza  ed
economicita' dell'azione nei  settori  di  competenza,  il  Ministero
dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli
di  Stato,  il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari   e
forestali e l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico -  A.S.S.I.,
procedono alla definizione,  anche  in  via  transattiva,  sentiti  i
competenti organi, con abbandono di ogni  controversia  pendente,  di
tutti i rapporti controversi nelle  correlate  materie  e  secondo  i
criteri di seguito indicati:  ...  b)  relativamente  alle  quote  di
prelievo  di  cui  all'art.  12  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 8 aprile 1998, n.  169,  ed  alle  relative  integrazioni,
definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore  al  5
per cento delle somme ancora  dovute  dai  concessionari  di  cui  al
citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169  del  1998  con
individuazione delle modalita' di versamento delle relative  somme  e
adeguamento delle garanzie fideiussorie.  Conseguentemente,  all'art.
38, comma 4 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la  lettera  l)  e'
soppressa»; 
    B) sulla scorta del mutato quadro normativo, A.A.M.S. ha adottato
nei  confronti  della  odierna  societa'  ricorrente  una   ulteriore
determinazione, in data 15 giugno 2012, con la  quale  ha  nuovamente
richiesto il versamento dei minimi garantiti  dovuti,  applicando  la
riduzione equitativa prevista dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n.
16 del 2012 ed evidenziando in motivazione che tale riduzione, da  un
lato,   deve   essere   intesa   come   attuativa   dell'obbligo   di
individuazione delle misure di salvaguardia e, dall'altro,  che  essa
ha comportato l'abrogazione  espressa  dell'art.  38,  comma  4,  del
decreto-legge n. 223 del 2006. 
    La ricorrente, ha quindi impugnato  (con  motivi  aggiunti)  tale
ulteriore determinazione, in particolare evidenziando: 
    perplessita' e contraddittorieta' dell'azione amministrativa, con
riferimento alle modalita' stabilite per i concessionari al  fine  di
aderire alla rateazione ovvero alla compensazione; 
    illegittimita'   costituzionale   dell'art.    10,    comma    5,
decreto-legge  n.  16/2012,  convertito  in  legge  n.  44/2012,  per
contrasto  con  gli  articoli  3,  24,  97,  102,  104  e  108  della
Costituzione; irragionevolezza manifesta, nonche',  ancora,  con  gli
articoli 11, 111 e 117 della Costituzione, per violazione dell'art. 6
della Cedu; in particolare: 
    la norma  sarebbe  esclusivamente  finalizzata  alla  sottrazione
dell'oggetto del sindacato giurisdizionale (rispetto  al  contenzioso
tuttora pendente) e, comunque ad eludere le indicazioni  conformative
ricavabili dalle sentenze, passate in giudicato, del TAR; 
    non terrebbe in alcun conto  il  profondo  e  radicale  mutamento
della situazione di mercato, si' da rafforzare la discriminazione dei
vecchi concessionari rispetto ai concessionari c.d. «Bersani»; 
    si porrebbe in contrasto con l'art. 6 della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali che afferma il  diritto  al  «giusto  processo»  (avente
rango costituzionale per effetto del rinvio  operato  dall'art.  117,
comma 1, Cost.); 
    sarebbero comunque insussistenti quelle  «ragioni  imperative  di
interesse generale» che consentono di derogare a tale principio. 
    Con ordinanza n. 3573  del  4  ottobre  2012,  e'  stata  accolta
l'istanza cautelare proposta con il ricorso recante motivi aggiunti. 
    3. - La difesa erariale ha rilevato che la disposizione dell'art.
10, comma 5, del decreto-legge n.  16  del  2012  non  e'  lesiva  di
interessi   delle   ricorrenti,   ne'   limitativa    della    tutela
giurisdizionale, perche'  definisce  la  problematica  in  questione,
stabilendo una misura economica delle  somme  dovute  e  non  versate
(che, in base alla giurisprudenza  del  giudice  amministrativo,  non
potevano essere  richieste  prima  della  individuazione  delle  c.d.
misure di salvaguardia) e abrogando la disposizione fonte  delle  cd.
misure di salvaguardia, in  linea  con  i  principi  enunciati  nella
sentenza della Corte di giustizia del 16 febbraio 2012 medio  tempore
depositata. 
    In particolare la difesa dell'A.A.M.S. richiama il punto 57 della
predetta sentenza della Corte di giustizia, ove  si  afferma  che  il
principio di parita' di trattamento impone che  «tutti  i  potenziali
offerenti dispongano di uguali opportunita', ed  implica  dunque  che
costoro siano assoggettati alle  medesime  condizioni.  Cio'  vale  a
maggior  ragione  in  una  situazione  quale  quella  in  esame   nei
procedimenti  principali,  in  cui   una   violazione   del   diritto
dell'Unione da parte  dell'autorita'  aggiudicatrice  interessata  ha
gia' avuto come conseguenza una disparita' di trattamento in danno di
alcuni operatori», ed il punto 59 della  medesima  sentenza,  ove  si
afferma che  il  principio  di  parita'  di  trattamento  impone  che
«ragioni di natura economica - come  l'obiettivo  di  garantire  agli
operatori aggiudicatari di concessioni  dopo  la  gara  del  1999  la
continuita', la stabilita' finanziaria  o  una  giusta  remunerazione
degli investimenti realizzati - non possono essere riconosciute quali
motivi imperativi di interesse generale  idonei  a  giustificare  una
restrizione di  una  liberta'  fondamentale  garantita  dal  trattato
(sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35 e la giurisprudenza  ivi
citata,  nonche'  sentenza  dell'11  marzo  2010,  Attanasio   Group,
C-384/08, Racc. pag. I-2055, punti 53-56)». 
    4. - Il ricorso principale e quello recante motivi aggiunti  sono
stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza  del  5  dicembre
2012. 
    5. - In via preliminare,  il  collegio  ritiene  che  il  ricorso
principale, debba essere dichiarato improcedibile,  per  sopravvenuta
carenza di interesse, alla luce delle seguenti considerazioni: 
    A)  la  presente  controversia  rientra  tra   le   «controversie
pendenti» alle quali si riferisce la disposizione dell'art. 10, comma
5, del decreto-legge n. 16 del 2012; 
    B) in disparte da ogni considerazione in merito alla legittimita'
costituzionale di tale disposizione, si deve ritenere che  la  stessa
abbia imposto alle amministrazioni  interessate  un  vero  e  proprio
obbligo di procedere alla  definizione,  anche  in  via  transattiva,
delle  controversie  relative  all'integrazione   dei   c.d.   minimi
garantiti, attraverso la «definizione,  in  via  equitativa,  di  una
riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute  dai
concessionari ... con individuazione delle  modalita'  di  versamento
delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie»; 
    C)  stante  quanto  precede,  si  deve  ritenere   altresi'   che
l'insorgenza di tale obbligo abbia  determinato  l'inefficacia  delle
precedenti richieste di pagamento delle  somme  dovute  a  titolo  di
integrazione dei minimi garantiti, perche' la riduzione non superiore
al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari storici e'
evidentemente prevista  in  connessione  con  l'abrogazione  espressa
della  disposizione  dell'art.  38,  comma  4,  la  lettera  l),  del
decreto-legge n. 223 del 2006, che prevedeva l'obbligo di individuare
misure di salvaguardia per i predetti concessionari, ma  che  non  ha
mai avuto attuazione da parte delle amministrazione interessate (come
si evince dal verbale della Conferenza di  servizi  del  30  novembre
2011). 
    In forza di quanto sopra il ricorso principale  viene  dichiarato
improcedibile. 
    6. - Passando ad esaminare il ricorso  recante  motivi  aggiunti,
aventi ad oggetto la determinazione dirigenziale del 15  giugno  2012
con la quale A.A.M.S. ha richiesto alla ricorrente il pagamento delle
somme dovute a titolo di  integrazione  dei  minimi  annui  garantiti
ricalcolate  con  una  riduzione  del  5%  ai  sensi  della  predetta
disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012,  il
collegio osserva, in primo luogo,  che  il  provvedimento  impugnato,
diversamente da quanto opinato in sede cautelare, non costituisce una
mera  proposta  transattiva,  bensi'  e'  chiaramente  preordinato  e
finalizzato, in sostituzione  di  quelli  in  precedenza  adottati  e
sospesi dalla sezione, al recupero  delle  somme  ancora  dovute  dai
concessionari. 
    Posta tale premessa, e' necessario altresi'  evidenziare  che  la
riduzione  equitativa   prevista   dell'art.   10,   comma   5,   del
decreto-legge n. 16 del 2012, da un lato,  deve  essere  intesa  come
attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia
e, dall'altro, ha comportato  l'abrogazione  espressa  dell'art.  38,
comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223 del 2006.  In  altri
termini, il collegio condivide la tesi (su cui si  fondano  le  nuova
richieste di pagamento formulata da A.A.M.S.), secondo la quale  -  a
fronte della mancata definizione in via amministrativa  delle  misure
di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, la  lettera  l),  del
decreto-legge n. 223 del 2006 e delle numerose controversie insorte a
seguito delle richieste di pagamento dei minimi  garantiti  formulate
da A.A.M.S. all'inizio del 2012 nonostante la mancata definizione  in
via  amministrativa  delle  predette  misure  di  salvaguardia  -  il
legislatore e' intervenuto con una  legge-provvedimento  (l'art.  10,
comma 5, del decreto-legge n. 16  del  2012)  destinata  ad  incidere
sulle controversie pendenti, abrogando il meccanismo di  salvaguardia
previsto dall'art. 38, comma 4, la lettera l), del  decreto-legge  n.
223 del 2006 e sostituendo tale meccanismo con un diverso meccanismo,
costituito essenzialmente da una riduzione, predeterminata per  legge
in misura non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute dai
concessionari a titolo di minimi garantiti. 
    Orbene, sebbene il legislatore abbia manifestato la  volonta'  di
tener conto  della  peculiare  posizione  dei  concessionari  storici
introducendo il diverso meccanismo  costituito  dalla  riduzione,  in
misura non superiore al 5 per cento,  delle  somme  ancora  dovute  a
titolo di minimi garantiti, appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   della
disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16 del 2012  che
il collegio intende sollevare,  d'ufficio,  nei  termini  di  seguito
indicati. 
    7. - Anzitutto, in punto di rilevanza  della  questione,  occorre
ribadire che l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2012, ha
abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge  n.
223 del 2006, che aveva introdotto  -  in  favore  dei  concessionari
storici (ivi compresa l'odierna parte ricorrente), in  quanto  tenuti
al pagamento dei minimi garantiti -  l'obbligo  di  definire  in  via
amministrativa misure di salvaguardia volte a garantire  l'equilibrio
economico di tali  soggetti  ed  ha  previsto  a  tutela  di  costoro
soltanto la possibilita' di  ottenere  una  riduzione,  peraltro  non
superiore al 5 per cento, delle  somme  ancora  dovute  a  titolo  di
minimi garantiti. 
    Infatti questa stessa sezione nella sentenza 7 novembre 2011,  n.
8520, ha ribadito che «la disposizione dell'art. 38, comma 4, lettera
l), della legge n. 223 del 2006 e' stata introdotta  a  garanzia  dei
concessionari storici, essendo l'obbligo di definire le modalita'  di
salvaguardia  di  tali  soggetti   finalizzato   «a   consentire   il
riequilibrio delle obbligazioni consacrate nelle concessioni  per  la
raccolta di scommesse ippiche gia' rilasciate, in ragione del  mutato
assetto del mercato delle scommesse ippiche e della  riconfigurazione
dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta  di  gioco,  come
ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38  del  decreto-legge
"Bersani", che ha  determinato  l'apertura  del  mercato  dei  giochi
pubblici e l'attivazione di nuove concessioni secondo una  diffusione
capillare  sul  territorio  e  con  piu'  favorevoli  condizioni   di
esercizio e di reddivita'», ed ha  evidenziato,  nel  contempo,  come
l'introduzione   dell'obbligo   di   definire   tali   modalita'   di
salvaguardia  rendesse  «inapplicabile  il  contenuto   del   decreto
interministeriale del 10 ottobre 2003 che aveva stabilito,  sotto  la
vigenza  della  precedente  normativa,  il  metodo  di  calcolo   per
individuare il c.d. minimo garantito». 
    Risulta, quindi, evidente che, per effetto dell'abrogazione della
disposizione dell'art. 38, comma 4,  del  decreto-legge  n.  223  del
2006, la ricorrente non possa piu'  beneficiare  delle  modalita'  di
salvaguardia previste da tale disposizione. 
    8. - Passando ora al profilo  della  non  manifesta  infondatezza
della questione,  il  collegio  preliminarmente  rammenta  che  (come
rilevato da questa stessa sezione nella recente ordinanza  26  luglio
2012, n. 685) la questione della compatibilita' costituzionale  delle
c.d.  leggi-provvedimento  (e  cioe'  di  quegli   atti   formalmente
legislativi che tengono luogo  di  provvedimenti  amministrativi,  in
quanto dispongono, in concreto, su  casi  e  rapporti  specifici)  e'
ormai  definitivamente  risolta  dalla  giurisprudenza  della   Corte
costituzionale e dei giudici  amministrativi  con  l'affermazione  di
principi ormai consolidati. In particolare: 
    A) la consulta ha  riconosciuto  l'ammissibilita'  di  tali  atti
normativi in base al rilievo dell'insussistenza di  una  «riserva  di
amministrazione»,  ossia  evidenziando  che   la   Costituzione   non
garantisce  ai  pubblici  poteri  l'esclusivita'   delle   pertinenti
attribuzioni gestorie e  non  configura  per  il  legislatore  limiti
diversi da  quelli  (formali)  dell'osservanza  del  procedimento  di
formazione  delle  leggi,  omettendo  di  prescrivere  il   contenuto
sostanziale ed i caratteri essenziali dei  precetti  legislativi  (ex
multis, sentenza n. 347 del 1995); 
    B)  una  volta  ammessa  la   compatibilita'   delle   leggi   in
sostituzione di provvedimento con il vigente assetto  costituzionale,
la prevalente giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV,
9  marzo  2012,   n.   1349)   ritiene   che,   a   fronte   di   una
legge-provvedimento, i  diritti  di  difesa  del  soggetto  leso  non
vengano   ablati,   ma   si   trasferiscano    dalla    giurisdizione
amministrativa alla giustizia costituzionale. Il corollario  di  tale
ricostruzione dogmatica dell'assetto  della  tutela  delle  posizioni
incise dalla legge-provvedimento e', dunque, la valorizzazione  della
pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge,
sino  a  renderlo  anche  piu'  incisivo  di  quello  giurisdizionale
sull'eccesso di potere, e cio' in modo  da  riconoscere  al  privato,
seppur nella forma indiretta della rimessione  della  questione  alla
consulta da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione
ed un'occasione  di  difesa  pari  a  quella  offerta  dal  sindacato
giurisdizionale sugli atti amministrativi; 
    C)   con   particolare   riferimento   al   rapporto    tra    la
legge-provvedimento   di    approvazione    di    un    provvedimento
amministrativo  gia'  adottato  e  la  pendenza  di  un  procedimento
giurisdizionale avente  ad  oggetto  tale  provvedimento,  merita  di
essere condivisa la tesi (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 aprile 2006,
n. 1362) secondo la quale: a) la mera  pendenza  di  un  ricorso  non
impedisce  l'approvazione  della  legge-provvedimento,   in   quanto,
diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere un  vulnus  delle
prerogative delle assemblee legislative, mediante  l'introduzione  di
un inammissibile nuovo limite, non  codificato,  all'esercizio  della
relativa  funzione;  b)  solo  la  formazione  del   giudicato   puo'
paralizzare un intervento  legislativo  contrastante  con  il  dictum
giurisdizionale, in modo da evitare (in coerenza  con  l'assetto  dei
poteri delineato dalla Costituzione) l'irrimediabile sacrificio delle
garanzie di tutela giurisdizione; c) la pendenza di un ricorso avente
ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da  approvare  con
la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini  del
corretto  esercizio  della  funzione  legislativa,  proprio   perche'
l'eventuale e comprovata esclusiva finalizzazione  della  legge  alla
sottrazione  dell'oggetto  del  sindacato  giurisdizionale  (ed  alla
conseguente  privazione   della   stessa   possibilita'   di   tutela
giurisdizionale   per   l'interessato)   costituirebbe   un    indice
sintomatico dell'irragionevolezza della legge-provvedimento. 
    9. - Tenuto conto di quanto precede,  nonche'  del  fatto  che  -
secondo quanto affermato non solo da questa stessa sezione nella gia'
richiamata sentenza 7  novembre  2011,  n.  8520  e  nelle  ulteriori
sentenze 28 luglio 2009, n. 7632 e 7 luglio 2009, n. 6520,  ma  anche
dalla quarta sezione del Consiglio  di  Stato  (ordinanza  31  agosto
2011, n. 3849) - i provvedimenti  di  riscossione  di  somme  per  il
raggiungimento  dei   minimi   garantiti   richiedevano   la   previa
definizione delle c.d. misure di salvaguardia  di  cui  all'art.  38,
comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223 del 2006,  il  collegio
ritiene non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16  del
2012 per contrasto  con  il  generale  principio  di  ragionevolezza,
desumibile dall'art. 3 della Costituzione  (cfr.,  ex  multis,  Corte
Cost. 9 marzo 2012, n. 53), con  i  principi  in  materia  di  tutela
giurisdizionale avverso i provvedimenti dell'amministrazione, sanciti
dagli articoli 24, comma 1, 103, comma 1, e 113  della  Costituzione,
con il principio di buon andamento dell'azione  amministrativa  (art.
97), nonche', infine, con il principio del giusto processo (art.  111
e art. 6 della CEDU, in rapporto all'art. 117, comma 1, Cost.) - alla
luce delle seguenti considerazioni: 
    A) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16
del 2012 appare illogica ed irrazionale, perche' il legislatore - nel
sostituire  ad  un  meccanismo  flessibile,  come   quello   indicato
dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223 del  2006
(che affidava alla stessa amministrazione il compito  di  individuare
le concrete misure di salvaguardia per i concessionari storici, senza
fissare  tetti  massimi,  ma  dando  per   scontata   l'esigenza   di
parametrare le misure all'andamento del mercato delle  scommesse,  in
modo da impedire che il pagamento dei minimi garantiti,  in  presenza
di una maggiore concorrenza nel mercato, dovuta all'ingresso di nuovi
concessionari,  potesse  pregiudicare  l'equilibrio   economico   dei
concessionari storici)  con  un  meccanismo  che  consente  solo  una
riduzione  forfettaria,  fino  ad  un  massimo  del  5%,  dei  minimi
garantiti dovuti in base al «vecchio» decreto  interministeriale  del
10 ottobre 2003  -  ha  agito  al  (dichiarato)  fine  di  perseguire
maggiore  efficienza  ed  economicita'   dell'azione   amministrativa
mediante la definizione stragiudiziale di ogni controversia pendente,
ma non ha considerato  che  la  predetta  riduzione  forfettaria  non
appare   adeguata   per   garantire   l'equilibrio   economico    dei
concessionari storici.  E'  ad  esempio  innegabile  che  al  «mutato
assetto del mercato delle scommesse ippiche e della  riconfigurazione
dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta  di  gioco,  come
ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38  del  decreto-legge
"Bersani" che  ha  determinato  l'apertura  del  mercato  dei  giochi
pubblici e l'attivazione di nuove concessioni secondo una  diffusione
capillare  sul  territorio  e  con  piu'  favorevoli  condizioni   di
esercizio  e  di  reddivita'»  (evidenziato  nella  gia'   richiamata
sentenza 7 novembre 2011, n. 8520), si siano, nel tempo, aggiunti gli
effetti  del  «mercato  parallelo»  gestito  dai  c.d.  CTD   (centri
trasmissione dati), ossia gli  effetti  della  presenza  nel  mercato
italiano delle sommesse di operatori economici di altri Stati  membri
che agiscono attraverso i predetti CTD, in  assenza  di  concessione,
nell'esercizio delle  liberta'  di  stabilimento  e  prestazione  dei
servizi transfrontalieri, garantite dagli articoli 49 e seguenti e 29
e seguenti TFUE (si veda al  riguardo  la  sentenza  della  Corte  di
giustizia Costa-Cifone del  16  febbraio  2012,  emessa  nelle  cause
riunite C-72/10 e C-77/10).  La  misura  stabilita  direttamente  dal
legislatore,  pertanto,  appare  del  tutto  slegata  dalla   realta'
fattuale, tanto che nemmeno  dagli  atti  parlamentari  e'  possibile
capire quale tipo di istruttoria sia stata compiuta.  E  cio',  anche
volendo considerare la necessita' per lo Stato» italiano  (richiamata
dalla difesa  erariale)  di  adeguarsi  ai  principi  di  parita'  di
trattamento e di tutela della concorrenza, sanciti, in materia, dalla
Corte di  giustizia  dell'Unione  europea.  Si  tratta,  infatti,  di
principi, almeno in astratto, pienamente compatibili con la riduzione
ad  equita'  delle  condizioni  delle  convenzioni   accessive   alle
concessioni   c.d.   storiche.   Di   talche'   e'    evidente    che
l'individuazione del punto di equilibrio tra  un'eventuale  vantaggio
competitivo goduto in passato dai titolari di siffatte concessioni, e
l'attuale assetto del mercato, doveva essere il  frutto,  quantomeno,
di una compiuta analisi di cui pero', nel caso di specie, non  vi  e'
traccia; 
    B) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16
del 2012 appare quindi effettivamente finalizzata al  solo  scopo  di
sottrarre i provvedimenti gia' impugnati con il ricorso principale al
sindacato giurisdizionale (e, quindi, a vanificare  il  diritto  alla
tutela giurisdizionale delle parti ricorrenti), perche' - a fronte di
quanto affermato non solo da questa stessa sezione,  ma  anche  dalla
quarta sezione del Consiglio di Stato nelle pronunce innanzi citate -
il legislatore e' intervenuto introducendo una nuova  disciplina  che
non consente oramai alcuna forma di sindacato  giurisdizionale  sulla
mancata adozione, da  parte  dell'amministrazione  competente,  delle
misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma  4,  lettera  l),
del decreto-legge n. 223  del  2006.  Ne  consegue  che  la  predetta
disposizione vanifica il diritto dei concessionari storici  di  agire
in giudizio per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del
mutato assetto del mercato delle scommesse ed integra,  altresi',  la
violazione del diritto al giusto processo, quale consacrato nell'art.
111 delle Costituzione e nell'art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(avente pur esso rango costituzionale per  effetto  del  rinvio  agli
obblighi internazionali pattizi di cui all'art. 117, comma 1,  Cost.;
cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007). 
    10. - Quanto appena  argomentato  giustifica  la  valutazione  di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3, 24,  comma
1, 97, 103, comma 1, 111, 113 e 117, comma 1, della Costituzione. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.